Pulp Pride

Il primo gay pride nella mia città. Sconvolgimento totale dell’essere.

E dire che non volevo nemmeno andarci.

Invece, un’ora prima del big bang, eccomi travolto da pensieri pseudotrasgressivi in quantità, eccomi a pensare a travestimenti, che elenco dal più perverso a quello che poi ho messo in pratica:

– Frank’n’Further (quello di The Rocky Horror Picture Show);

– Drag Queen con tacco Swarovsky e calze a rete (scartato per provvidenziale intervento all’ultimo minuto del senso di realtà, che prese a dirmi paternamente “cadrai dopo tre passi, se proprio ti va bene – e non ti rialzerai più”

– Look “oca teen” con addosso solo costume da bagno scosciato e papillon al collo

– Vecchio-che-fa-il-giovincello con canotta e papillon;

E quindi scesi in strada, col cuore palpitante. Spettacolo da impietosire i sanpietrini della cocente via (l’Estate, quella carogna, scelse proprio quel giorno per manifestarsi all’orbe), gli alberi del parco della stazione che si strinsero materni intorno alle mie vizze vizze nudità.

Giacché il ritrovo era ai giardinetti, e la folla c’era, compatta, sgargiante, cicalante, brulicante. Insomma, c’era un sacco di gente. E carri, che chi ripeteva da giorni che trattavasi di carnevale si sarà fregato le mani. In testa, quello delle Drag, quelle vere, abbaglianti Icone che avrei voluto bagnar loro i piedi di lacrime. Invece facevo l’oca, stonandomi la voce a forza di strilli sovracuti e i tendini con passi di danza che nemmeno la Fracci nell’età d’oro.

E si parte. Festina lente. Adelante, pedro, ma con giudizio. Tanto che per fare la via dello struscio, che di solito io doppio a velocità supersonica per risparmiarmi la vanità deprimente dei miei concittadini, impieghiamo due ore buone. Nemmeno alla fiera di Santa Caterina. Ma le sante erano in testa, lontane, irraggiungibili. Venus, presénte et invisible… A me giustamente toccò il carro delle femministe isteriche. Così impari a fare lo snob.

E arriviamo all’altro parco. Di parco in parco, ecco riapparire le Dee. Ma anche un robusto tronco d’uomo, con due pettorali da sbaleccaciucciare fino a non poterne più, e invece gli stringo la mano inebetito mentre un mio amico mi presenta. E mi dico: “perché sempre sta fifa di merda? Magari collo Swarovski si cuccava”. E invece lo sgargiante calabrone, con malcelato fastidio nell’intravedere i miei cascami, si volge a più freschi fiori.

E al parco incontro anche Frank’n’Further. O meglio, un usupartore. Perché, anche se quel che si vedeva era una vecchia checca bolsa, quello vero ero io.

Beh, magari la prossima volta.

 

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