A sentimental letter to David Leavitt

Caro David,

Ti scrivo per dirti che ti amo. Ti amo, sì, non posso vivere senza di te. Senza le tue storie, la mia vita che senso avrebbe? Tu sei l’unico, David, che mi capisce. Tu hai raccontato la mia storia senza conoscerla, senza conoscere me. È incredibile, eppure è così: l’hai raccontata per filo e per segno, come meglio non si può, come io stesso non avrei mai saputo fare. E l’hai fatto in due racconti diversi – ti devo anche questa delicata attenzione alla mia privacy – Alieni e Danny in transito. E c’è proprio tutto: l’egoismo e l’indifferenza degli adulti, l’abbandono, quel peso troppo grande per delle spalle così gracili, la fuga in un mondo fantastico e nello stesso tempo la più lucida consapevolezza della realtà, della realtà assurda e terribile.

Il male. Come racconti il male tu, con che decoro. Ma come fai? Sei un miracolo, David, come ti voglio bene! Perché dici la verità, semplicemente, la dici in un modo che sembra voler dire: è normale dire la verità, è la cosa più naturale del mondo, è così sbagliato non dirla, fa tanto male. Per questo ti amo, David, ti amerò sempre.

Chissà se un giorno, girovagando in rete, ti imbattessi in queste parole, e così venissi a sapere quale amore le tue siano capaci di suscitare in chi ti legge: non sarebbe fantastico? Chissà se conosci la mia lingua, io la tua un po’ la conosco, ho la fortuna di poter leggere i tuoi pensieri proprio coi suoni precisi con cui li hai pensati tu. Ma non importa poi tanto, c’è Google che traduce.

Ah David, potrei raccontarti tante cose, aggiungere particolari alla storia mia scritta da te, precisazioni, correzioni anche. Ma perché? La mia storia riscritta da te, anche se contiene qualche errore, è vera, vera completamente, non potrebbe in nessun modo essere più vera di così.

Perciò ora ti lascio, l’essenziale – il mio amore per te – è già stato detto. Ringrazio Dio di averti creato, di aver messo al mondo quel miracolo chiamato: David Leavitt.

Tuo per sempre
Paolo
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Letterina a Putin

Caro Vladimir,

Tu non mi conosci, ma a me sembra di conoscere te da sempre. Come te la passi? Maluccio eh? Sai, non è che mi sei stato mai troppo simpatico, diciamoci la verità, però da quando il vento ti si è girato contro inizio a sentire un po’ di comunanza fra me e te, affratellati dalla mala sorte. Perciò ho deciso di scriverti, dimenticando il passato. E poi ora mi sento più libero di farlo, non avendo più da temere da parte tua vendette o ritorsioni (hai già da fare e da dire a salvarti la pelle).

Dunque, Vladimir caro, ti scrivo per dirti che puoi lanciarla. Ma sì, hai capito, quella. Per me, lanciala pure. Prima avevo ancora qualche dubbio, pensavo di potere ancora resistere, di poterci ancora stare in questo mondo, ma poi l’immancabile gocciolina ha fatto traboccare il vaso.

Come dici? La Meloni? No, no, acqua, mio caro. Niente a che vedere con la politica, la crisi di governo, l’avanzata della destra, la crisi della sinistra, le larghe intese e cose simili. Certo, hanno contribuito ad innalzare di molto il livello dell’acqua nel vaso – non è un anno che va avanti questa solfa, e nemmeno due, e una goccia oggi, una domani, piano piano il vaso si riempie – ma non è stata la politica a favorire il trabocco.

Potresti pensare di essere tu il responsabile. Hai rotto non poco i maroni con questo benedetto rubinetto, e apri e chiudi, e riapri e richiudi, roba da far saltare i nervi a un santo, figuriamoci a un poveraccio che arriva a fine mese sempre a corto di ossigeno (oltre che di metano). No no, caro, tu non c’entri, sennò mica scrivevo proprio a te, ti pare?

Ti sono già un po’ più simpatico, vero? Anche a te ora sembra di conoscermi da sempre. Non è forse vero che infatti proprio ora ti è venuta in mente la globalizzazione? Ecco, pensi, io e questo poveraccio siamo alleati nella lotta contro il dominio spietato del capitale globale, ho ancora degli amici, non sono solo.

Sì e no. Vedi, è vero che molti dei miei guai hanno a che fare con il lavoro, non posso negarlo. È diventato sempre più impossibile, bisogna sempre essere vincenti, superiori e colleghi sempre più esasperati, incattiviti. Sì, questo è senz’altro il serbatoio che ha alimentato più d’ogni altro l’acqua del mio vaso. Però la gocciolina ultima, fatale, non viene di qui.

La gocciola incriminata, trattasi di questo. Una notizia fresca fresca, un certo farmaco improvvisamente diventato introvabile. Così, senza un motivo. E – lo so che è assurdo – non avevo ancora finito di leggere, che ho avuto la certezza che presto sarebbe capitato anche con i farmaci dai quali dipende … dai quali io dipendo, completamente. Mi capisci, Vlady? La certezza di essere già perduto, se un domani un qualche stronzo par tuo decidesse di chiudere i benedetti rubinetti delle benzodiazepine, come tu quelli del gas. Anzi, di essere già finito, oggi, adesso, se basta una notizia su un farmaco introvabile per mandarmi in panico completamente.

Già ora le benzo non mi aiutano più, anche se non posso farne a meno. La mia vita ha perso di senso, non mi tira più su nemmeno la Littizzetto. Come si potrebbe cadere più in basso di così? Sono sicuro che mi capisci, Vlady caro, che anche tu sei nella merda fino al collo e la vita non ha più sapore nemmeno per te. Sei stanco, tanto stanco anche tu, di recitare la parte dell’uomo tutto d’un pezzo, del macho, del vincente. E allora, cosa aspetti? Per te è tanto più facile, basta premere un bottoncino, una cosa di un attimo. Non pensarci su troppo, pigialo questo bottoncino, e bon. Game over.

Con stima e affetto.
L'uomo qualunque