Senza titolo

Oggi non ho proprio niente da scrivere. Non mi viene in mente nessun argomento, tema, soggetto, che sia di politica, di attualità, di arte, cultura, musica o gossip.

Potrei parlare della natura che si risveglia, dei fiori che fanno capolino sui rami fino a ieri secchi e nudi, degli uccellini che riprendono a gareggiare in gorgheggi. Ma che tema abusato! “Zefiro torna e il bel tempo rimena”… no, no.

Buttarmi sull’attualità politica, sui venti di guerra che da un po’ soffiano in Europa, sul contrasto col messaggio di pace e speranza portato dalla Pasqua? Per carità, peggio che andar di notte.

Sulle opere musicali dedicate alla Pasqua, dalle Passioni di Bach al Messiah di Handel ai vari Stabat mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa ho già disquisito dottamente per anni fino alla nausea. De hoc satis.

Mi tenta, sempre in occasione della Pasqua, una bella tirata morale sulla degenerazione della Chiesa, sulla pedofilia, sugli inutili tentativi di risanamento di papa Francesco. Ma va a finire che mi deprimo, una volta tanto che mi sono svegliato di buon umore!

Ci sarebbe, ora che ci penso, anche il ritorno di fiamma del nostro nuovo virus, dato per spacciato a più riprese e che ogni volta si rifà vivo più in forma che mai, sebbene ogni volta un po’ meno pauroso. Ma a che pro?

Un tema che attira molti clic è sicuramente quello dei rincari: della luce, del gas, della benzina, delle auto, financo dei dispositivi digitali, come direbbe il mio prof di scienza dell’informazione. Ma in ciò mi fanno concorrenza tutti i patri quotidiani e migliaia di bloggers della domenica o peggio di Facebook.

Bon, dunque oggi non vi parlo di niente e mi immergo nella lettura di qualche classico, con indosso panni togali e curiali, ché sol nacqui per essi. E vi chiedo venia, miei quattro lettori.

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Bebuquin

– Bebuquin, chi era costui?

– Un dilettante del miracolo.

– Grazie tante!

– Mi spiego meglio. Ci fu una strana epoca, nella storia dell’uomo, in cui esso uomo avverti il suo vivere in società come qualcosa di difficilmente fattibile, e anelò liberarsene. Dirò di più, poiché l’uomo, come lapidariamente afferma lo Stagirita, è animale sociale, anelò a non essere più uomo del tutto. Bebuquin è un singolare prodotto di codesta epoca.

– Insomma, uno spostato, un inetto, un disadattato. Potevi dirlo subito, quanti giri di parole!

– Se vuoi chiamarlo così, disadattato sia. Ma un disadattato di carta.

– Di male in peggio! Intendi un bislacco personaggio di uno di quegli illeggibili romanzi scritti da qualche francese o tedesco che ha letto troppa filosofia idealista. Uno di quelli che ogni cinque anni presumevano di fare una rivoluzione letteraria, di fondare un movimento…

– Avanguardia, per la precisione.

– Si, ecco, bei tempi proprio, quelli! Ma per fortuna lo si è capito finalmente che quelle erano solo pie illusioni, che in arte non si inventa mai nulla di nuovo, figurarsi fare rivoluzioni!

– Eh sì, per fortuna. Oggi ci sono generi ben codificati, con manuali d’uso che ti spiegano per benino tutti i trucchi del mestiere. Ognuno può scrivere, pubblicare e con un po’ di fortuna guadagnare anche un sacco di soldi. A dire il vero, tutte cose che c’erano anche allora, solo che a qualcuno non bastavano. Avevano cose da dire per le quali non esistevano ancora regole, bisognava inventarle, improvvisare. Anzi, io credo che lo stile consista esattamente in questo. Certo, allora qualcuno ha forse esagerato un poco, ma meglio questo che scrivere tutti allo stesso modo.

– Tu, mio caro, non afferri il nocciolo del problema. Oggi, per comunicare, bisogna scrivere tutti nello stesso modo, altrimenti nessuno ti capisce. È la democrazia linguistica. Una lingua uguale per tutti, che non ammette differenze individuali nella sua semplice rigidità. E questo iniziava proprio al tempo delle tue avanguardie, che fecero un tentativo commovente quanto inutile di contrastarlo.

– Commovente, forse. Inutile, non direi affatto. Leggi Bebuquin o i dilettanti del miracolo di Carl Einstein, per esempio. Non sarà tempo del tutto sprecato.

– Invece lo sarà, e molto frustrante anche, e irritante. Capire una frase ogni venti, sentirsi più volte presi in giro, leggere sempre col dubbio che sia fatica inutile cercare di capire, che lo scrittore non volesse dire niente.

– Appunto, non lo hai detto prima anche tu? Se non ci si uniforma si rischia di non essere capiti. Questa condizione è forse quello che l’autore vuole esprimere. O forse no. Certo, l’espressione è un suo obiettivo precipuo, tanto che il romanzo è stato etichettato come espressionista.

– Ah, proprio robaccia allora. Quel narcisismo della disperazione, quel ghigno senza gioia, non so se ci sia qualcosa di più insopportabile!

– Si, qualcosa c’è. Il silenzio, l’afasia. Il nostro tempo.

Ringraziamento per il buon gusto

Sabato scorso, approfittando della splendida giornata di sole, sono andato ai Piani di Invrea con un amico.

Per chi non lo conoscesse, è un posto davvero splendido, una lunghissima passeggiata a mare tra Cogoleto e Varazze, ricavata sul tracciato di una vecchia ferrovia. E sì, ci sono anche le gallerie!

Ho fatto il pieno di sole e di vento, di goccerelline d’acqua salata (il mare era grosso), di profumi e colori (in Liguria la primavera è già iniziata, molti fiori già sbocciati). Soprattutto, ho ascoltato attentamente la voce del mare, quel giorno mugghiante, profonda e possente. La voce di un vecchio dio saggio.

Bello rigenerato, sono andato col mio amico in un piccolo bar (l’unico aperto d’inverno) per completare l’opera con una bella cioccolata calda. Mangiare una cioccolata calda col sole negli occhi e il mare nelle orecchie, i capelli scompigliati dal vento, è un’esperienza davvero meravigliosa!

Poteva questa beatitudine essere turbata? Ebbene sì, qualcosa la turbò. Ecco che al tavolino di fianco al nostro, lasciato libero da due distinte (e molto liguri) signore, prende posto una giovane fucsia. Avete capito bene, fucsia. Come definirla altrimenti, dal momento che di quel colore aveva tutto, cioè nell’ordine, dal basso all’alto: stivaletti collant minigonna giubbottino rossetto capelli?

Dopo forse un minuto, questa sinistra imitazione di Lady Gaga si rivela essere solo l’avanguardia di un’orda di rozzi d’ambo i sessi, malvestiti anch’essi ma non appariscenti quanto il clone, che uno dopo l’altro la raggiungono. Ben presto il rumore del mare viene soverchiato dagli schiamazzi di quest’improbabile adunata.

Allora, dopo averli osservati un bel po’ con sguardo antropologico, mi sono rivolto al sole che stava declinando, e facendogli un bel sorriso l’ho ringraziato del dono prezioso che mi aveva concesso, negandolo invece a quei poveri sfortunati.

“Caro sole, ringrazio l’universo per avermi dato il buon gusto!”

 

I gatti

Vengono silenziosi,

i gatti: sull’erba

lucida, sotto

il cielo scuro.

Da una terra

– il paese dei gatti –

illogica e immorale,

portano annunci

e piccole risa.

Pian piano

tutto s’illumina,

si anima di vita. Il mondo

si fa morbido.

Silenzio

Tutto dorme.

Il silenzio ti entra dentro.

La voce risuona sorda, un urlo

è uno stupro.

E’ un silenzio che assorda

anche la luce del sole.

Avvolge di fitta nebbia

gli scarsi richiami

nell’aria immobile,

i pensieri, le sensazioni.

Per trovare vita

bisogna scavare nel fango,

giù nel regno dei funghi

e delle muffe, percorso

di bave di lumache di vermi.

 

 

Lo scudo

Ripara il tuo corpo

con un lucido scudo: che non possa

ferire la sua sorda risonanza.

La baldanza

dei muscoli tesi, lucidati

d’aspro sudore d’organi

in frizione assordante.

La crepa delle labbra

che lascia uscire umori

velenosi di umide dolcezze.

E più di tutto, la distesa

terribile della pelle,

che sguscia odori

di foresta, grotta, stagno.

Canta il tuo corpo in toni accesi:

ho per te uno scudo che smorza,

regola il ribattere dei plessi

in una musica buona

di bellezza.

I fiori

Oggi il mondo è rovesciato:

sopra, un terreno grigio

di nubi, sotto verdeggia

il cielo e ha stelle gialle

che puoi anche toccare

– ma non devi, se saggio:

spegneresti il loro canto

segreto.

Oggi le radici da lassù

guardano le stelle: tutto

è possibile, anche

la felicità.