Bebuquin
– Bebuquin, chi era costui?
– Un dilettante del miracolo.
– Grazie tante!
– Mi spiego meglio. Ci fu una strana epoca, nella storia dell’uomo, in cui esso uomo avverti il suo vivere in società come qualcosa di difficilmente fattibile, e anelò liberarsene. Dirò di più, poiché l’uomo, come lapidariamente afferma lo Stagirita, è animale sociale, anelò a non essere più uomo del tutto. Bebuquin è un singolare prodotto di codesta epoca.
– Insomma, uno spostato, un inetto, un disadattato. Potevi dirlo subito, quanti giri di parole!
– Se vuoi chiamarlo così, disadattato sia. Ma un disadattato di carta.
– Di male in peggio! Intendi un bislacco personaggio di uno di quegli illeggibili romanzi scritti da qualche francese o tedesco che ha letto troppa filosofia idealista. Uno di quelli che ogni cinque anni presumevano di fare una rivoluzione letteraria, di fondare un movimento…
– Avanguardia, per la precisione.
– Si, ecco, bei tempi proprio, quelli! Ma per fortuna lo si è capito finalmente che quelle erano solo pie illusioni, che in arte non si inventa mai nulla di nuovo, figurarsi fare rivoluzioni!
– Eh sì, per fortuna. Oggi ci sono generi ben codificati, con manuali d’uso che ti spiegano per benino tutti i trucchi del mestiere. Ognuno può scrivere, pubblicare e con un po’ di fortuna guadagnare anche un sacco di soldi. A dire il vero, tutte cose che c’erano anche allora, solo che a qualcuno non bastavano. Avevano cose da dire per le quali non esistevano ancora regole, bisognava inventarle, improvvisare. Anzi, io credo che lo stile consista esattamente in questo. Certo, allora qualcuno ha forse esagerato un poco, ma meglio questo che scrivere tutti allo stesso modo.
– Tu, mio caro, non afferri il nocciolo del problema. Oggi, per comunicare, bisogna scrivere tutti nello stesso modo, altrimenti nessuno ti capisce. È la democrazia linguistica. Una lingua uguale per tutti, che non ammette differenze individuali nella sua semplice rigidità. E questo iniziava proprio al tempo delle tue avanguardie, che fecero un tentativo commovente quanto inutile di contrastarlo.
– Commovente, forse. Inutile, non direi affatto. Leggi Bebuquin o i dilettanti del miracolo di Carl Einstein, per esempio. Non sarà tempo del tutto sprecato.
– Invece lo sarà, e molto frustrante anche, e irritante. Capire una frase ogni venti, sentirsi più volte presi in giro, leggere sempre col dubbio che sia fatica inutile cercare di capire, che lo scrittore non volesse dire niente.
– Appunto, non lo hai detto prima anche tu? Se non ci si uniforma si rischia di non essere capiti. Questa condizione è forse quello che l’autore vuole esprimere. O forse no. Certo, l’espressione è un suo obiettivo precipuo, tanto che il romanzo è stato etichettato come espressionista.
– Ah, proprio robaccia allora. Quel narcisismo della disperazione, quel ghigno senza gioia, non so se ci sia qualcosa di più insopportabile!
– Si, qualcosa c’è. Il silenzio, l’afasia. Il nostro tempo.